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LA NOTTE DEL PASSATORE (omaggio alla 100 Km del Passatore)

 

Firenze, anno del signore 1848, le tre del pomeriggio.

Mi chiamo Attilio Amerighi e sono un patriota carbonaro. Vivo nelle terre che i Romani chiamavano Forum Iulii e che dopo il lungo dominio della Repubblica di Venezia ora fanno parte dell’Impero Austroungarico. Sono giunto a Firenze dopo un viaggio che mi ha condotto a Roma per incontrare alcuni esponenti della carboneria locale che stanno organizzando un’insurrezione per rovesciare il potere papalino. Ho promesso loro di cercare volontari disposti ad aiutarli in Friuli e nel Lombardo Veneto, e per questo sto marciando a tappe forzate per tornare quanto prima alle mie terre. Il solo pensare che il successo di questa insurrezione potrebbe significare Roma capitale del Regno d’Italia mi mette le ali ai piedi. È tutta qui la mia vita: portare notizie e informazioni da una parte all’altra dell’Italia. Per i miei coetanei che hanno fatto carriera nell’apparato burocratico imperiale io sono un fallito che possiede solo un paio di stivali consumati dall’uso, un mantello e una vecchia bisaccia.

Il sole è alto e il caldo dell’estate sembra già essere arrivato. L’importanza della missione mi ha spinto a non fermarmi a Firenze e perciò mi sono limitato a salutare piazza della Signoria, attraversare via dei Calzaiuoli, e prendere la strada per Fiesole dopo essermi lasciato distrarre, ma solo per un attimo, dalla splendida cupola del Brunelleschi.

Salire per le dolci colline sarebbe quasi un piacere se non fosse per il caldo a tratti opprimente che mi costringe a bere continuamente. Non sono solo perché sulle rampe che salgono verso Fiesole ho incontrato alcuni viandanti che si recano nelle terre emiliane, chi alla ricerca di un lavoro, chi per compiere i suoi commerci. Sento i dialetti più disparati: toscano, emiliano, romanesco, addirittura veneto; sarà perché stiamo camminando insieme, ma i discorsi di questi improvvisati compagni di viaggio sembrano cadere sempre su strani racconti di uomini partiti a piedi per viaggi lunghissimi alla ricerca di mondi nuovi, di nuove storie da raccontare o forse più semplicemente alla ricerca di se stessi e di un’opportunità per ricominciare un’altra vita.

Man mano che ci avviciniamo alla Vetta delle Croci comincio a notare un nervosismo che affiora fra uomini che avresti detto capaci di spaccare le montagne e di solcare i mari con lo sguardo fisso all’orizzonte. Sembra quasi che serpeggi strisciante una sottile paura. Sento dire che queste plaghe degli Appennini che dal Borgo di San Lorenzo portano alla città di Brisighella sono infestate da bande di briganti; le ultime notizie narrano di un avventuriero, un tal Stefano Pelloni, che, per l’audacia delle sue imboscate, la galanteria mostrata con le viaggiatrici fermate e per gli aiuti dati ai più poveri, si è guadagnato l’appello di Passator Cortese. I miei compagni di viaggio ne parlano ora come di un’invenzione per spaventare i bambini, ora come di un semplice bifolco fattosi brigante per schivare il pesante lavoro di traghettatore che a quanto si dice era il mestiere di suo padre. Sentendo queste parole di scetticismo, tutto a un tratto un viandante prorompe in un “Sciagurati, voi non sapete di cosa è capace quell’uomo! Temetelo e rispettatelo, solo così forse avrete salva la vita e domani all’alba vedrete le luci di Faenza”.

Tanti ridono a questa uscita, dicono “È un povero pazzo, lo conosco!”, “Cosa volete che ne sappia quel poveraccio con un mantello tutto strappato cha avrà ereditato da suo nonno!”

Vengo a sapere che quell’uomo è conosciuto come “Il poeta”, perché viaggia sempre con un piccolo libricino in mano su cui annota furiosamente pensieri o chissà che altro; mi faccio vicino e lo sento farfugliare cose incomprensibili, con uno sguardo venato da una luce di pazzia. Mi avvicino ad un altro viandante, quello che affermava di conoscerlo, e gli chiedo chi sia. “Il poeta... in realtà nessuno ha mai letto il suo quaderno. Io so solo che ogni anno ripercorre questo viaggio, quasi fosse un rito. Raccontano che una notte ha incontrato quel Pelloni, il Passatore, e da allora non è più stato lo stesso. Io però non ci credo: piuttosto penso che siano state le troppe soste per ubriacarsi in tutte le osterie della Romagna a ridurlo così!”

Sta calando la sera sulla strada che sale su su, verso il passo della Colla di Casaglia. La stanchezza e il buio sono scesi sui nostri volti: adesso il silenzio ha preso il posto degli scherzi che avevano rallegrato la sosta nella locanda di Borgo San Lorenzo dove si racconta fosse passato nel 1310 l’Ebreo Errante. “Mi fossi fermato allora” penso... “la figlia dell’oste valeva bene una sosta! E anche se questa storia dei briganti non fosse che una favola inventata, viaggiare di notte non mi è mai piaciuto.”

La strada continua a salire senza sosta, un tornante dietro l’altro: improvvisamente il verso di qualche uccello notturno mi risveglia dai pensieri in cui mi ero immerso. La stanchezza del cammino mi deve aver giocato un brutto scherzo. Il sole è ormai sceso da un pezzo, chissà che ora deve essere, e le gambe cominciano a farmi male. Ma non sono il solo: anche i miei compagni di strada sono tutti persi nei propri pensieri, parecchio foschi a giudicare dai loro volti. D’un tratto cominciamo ad udire dei rumori: il nitrito di un cavallo, un battere di zoccoli laggiù nel buio del bosco, rumori di rami spezzati, ma forse sono solo le nostre menti stanche a generare mostri e incubi.

Senza accorgercene acceleriamo il passo, evitando di guardarci l’un l’altro per non vedere la stessa oscura paura che ci dipinge il volto. Sentiamo delle voci, prima confuse e lontane poi sempre più chiare. Siamo in mezzo ai monti, chi altri può essere se non i briganti? Tutto a un tratto dietro ad una curva vediamo una locanda: è il passo della Colla. Erano quelle le voci che sentivamo, altro che briganti! I tornanti sono così stretti che solo all’ultimo uno si accorge di essere in cima. Ci sediamo alla locanda: tutti fanno i gradassi adesso, come se la paura di poco prima non li avesse riguardati e il cammino che porta a Faenza non fosse ancora così lungo. Il poeta continua a parlare da solo e a scrivere.... mi sporgo alle sue spalle per poter leggere. Intravedo queste parole che mi fanno rabbrividire: “Passatore, io so che sei la fuori e che stai venendo a cercarmi. Questi pazzi non credono che tu esista, non sanno cosa li aspetta. Hanno fiducia nelle loro forze, nel vigore dei loro giovani corpi mortali. Non sanno che la cosa più importante è l’umiltà, il sapere che tu puoi arrivare in ogni momento e fare di noi ciò che vuoi. Ma non ho paura di te, il mio passo è rapido e la stanchezza non mi ha mai abbattuto. Ancora una volta sfuggirò dalle tue mani. La notte, la lunga notte del Passatore, è con me.”

Qualcuno inizia ad alzarsi dai tavoli di legno e si incammina verso la discesa che porta a Marradi. Il vino e la luce del fuoco hanno ormai fatto evaporare la paura di pochi momenti fa.

Anche il Poeta si è rimesso il mantello ed è sparito giù nella notte con un sorriso di sfida dipinto sul volto. Mi ritrovo a pensare con dispiacere che mi piacerebbe fermarmi a dormire qui alla Colla se almeno ci fosse un pagliaio su cui distendere le mie ossa rotte.

La nostra compagnia si è sfaldata, quasi senza che ce ne accorgessimo: si cammina in piccoli gruppi, ora di due, ora di tre persone. Sento di tanto in tanto voci che ci rassicurano: gli altri sono poco più avanti, è solo il buio che ci impedisce di vederli. Non penso più al Pelloni, mi cattura la notte con le sue tenebre che mi avvolgono. Tutto ad un tratto dimentico la stanchezza: le gambe proseguono da sole sul largo sentiero, la mente si perde a inseguire pensieri di giorni ormai lontani, di giorni che forse non verranno mai. Ripenso con nostalgia alle lunghe camminate fatte in gioventù durante il pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Allora camminavo leggero, accompagnato solo dal piacere di scoprire nuovi mondi e la vita non mi aveva fatto ancora scontrare con la grettezza di tanti, troppi uomini, votati solo al guadagno, in cambio del quale avevano rinunciato alla loro libertà e al loro sognare.

Le lucciole che volano basse sui prati sono stelle cadute a rischiarare con la loro luce fioca il cammino dei viandanti. Quante cose si possono vedere anche in una notte come questa, senza luna: se fossi un pellegrino sulla strada di Betlemme penserei che il Signore ha voluto farmi il dono di capire la bellezza della Creazione. Muoversi nel silenzio su una strada che si snoda nel buio, con i profili dei monti che si stagliano più cupi della notte stessa è qualcosa che rende il cuore giovane e leggero. Forse è per la solitudine e l’assoluto silenzio che regna nella notte, ma mi sembra di sentire il respiro stesso della terra: oh che emozione sentirsi di nuovo parte del Creato!

Tutto a un tratto mi risveglio dai miei sogni e mi accorgo di essere rimasto solo, avvolto nel silenzio rotto dal fischio del vento che scende a mandarmi brividi lungo la schiena. Forse ho un po’ di febbre, comincio a tremare e a poco serve stringermi il mantello intorno alle spalle e cercare di muovere le braccia per scaldarmi.

Di tanto in tanto vedo delle luci in lontananza: sono cimiteri di piccoli borghi appenninici illuminati dalle fiammelle delle candele; eppure chi potrebbe sapere che non si tratta di fantasmi, magari di fantasmi della gente uccisa dal Passatore? E proprio in quel momento si leva un riso diabolico, che risuona in tutta la valle. Cerco di correre ma le mie gambe sono bloccate dalla fatica e dalla paura. Gli stivali mi hanno ricoperto i piedi di vesciche, i muscoli sono diventati duri come sassi nel freddo della notte. Sento dietro di me la risata farsi più vicina, sento una mano sfiorarmi il mantello. Mi volto ma è uno dei viandanti quello che vedo: l’avevo intravisto nella locanda di Borgo San Lorenzo tracannare vino e fare il gradasso mentre mostrava i muscoli dicendo “Spero proprio di incontrarlo quel Pelloni, così gli farò vedere chi è un vero uomo!”. Ora è praticamente irriconoscibile con gli occhi impazziti, gli stessi già incontrati sul volto del Poeta. Chissà cosa ha visto in questa notte di fine maggio. Chissà se ha incontrato i briganti o se sono stati il buio e la paura a ridurlo così. Mi guarda e poi si accascia a terra chiedendo pietà all’Essere che nella sua mente sconvolta lo sta perseguitando.

Finalmente arriva Marradi, con le sue mura e le case immerse nel sonno. Per un attimo penso che dovrei fermarmi e aspettare l’alba chiedendo ospitalità in qualche casa di contadini. So che sarebbe la cosa più sensata da fare, ma non sempre l’uomo deve seguire la ragione che lo spinge a fermarsi, a non andare oltre, a non prendere rischi. Certo è che la camminata nella notte mi ha fatto passare il sonno e la bellezza di quello che ho visto sembra incitarmi “Vai avanti, non fermarti proprio ora! Andrai incontro a cose che pochi hanno avuto la fortuna e il coraggio di vedere!”

Lì per lì penso semplicemente che è bello continuare il cammino nella notte appenninica ma per un istante sento che forse questa decisione cambierà la mia vita.

Questa sensazione è però di breve durata: ho lasciato da poco più di un’ora  Marradi e l’entusiasmo di prima mi ha già abbandonato. Le forze sono venute meno e gli occhi non notano più la bellezza di ciò che mi circonda. D’altronde ormai è buio pesto e non si sente alcun rumore: sono solo, ma il sesto senso che tante volte mi ha aiutato a sfuggire alla polizia austriaca mi avverte che c’è qualcuno, uomo o animale, che mi sta seguendo. Cerco di affrettare il passo, ma le 80 leghe che percorrevo ogni giorno sul Cammino di Santiago, sono solo un pallido ricordo. La notte, il freddo patito alla Colla, la paura e la tensione costante mi hanno svuotato di ogni energia. La mente impazzita di paura lancia al corpo segnali disperati intimandogli di affrettarsi, di andare avanti. Non c’è nulla da fare: mi trascino lento, sempre più lento. Brisighella è la mia ultima speranza; se riesco ad arrivarci sono in salvo. Dovrebbe mancare poco ormai, ma il buio della notte e della mente mi ha fatto perdere ogni punto di riferimento. Ad ogni curva spero di vedere il profilo del suo castello, ma rimango puntualmente deluso. Non ce la farò mai, non ce la farò mai. C’è una voce dentro di me che mi dice di arrendermi al mio destino, di fermarmi e lasciare che il Pelloni e la sua banda facciano di me quello che vogliono. Questa voce mette in dubbio tutta la mia vita, tutto quello per cui vivo. Dice che è inutile questo mio errare, l’ideale libertario della carboneria, mi dice che il mio Friuli non tornerà mai all’Italia, che la vita avrà sempre la meglio sui miei sogni. Cado per terra, piegato sulle ginocchia.

È in questo stato che il Passatore e la sua banda calano su di me. È proprio come lo descrivono: un uomo enorme, quasi un gigante, con una folta barba nera. Ma sono gli occhi che ti colpiscono: neri come il carbone, furbi, in continuo movimento. Ora so su quali occhi si è fissato lo sguardo del Poeta, ora so cosa deve aver provato.

Lo sento dare ordini ai suoi uomini: “Tu Mattiazza controlla che non sia armato. E tu Lisagna svuota la bisaccia dei suoi averi. Guardate qui questo cittadino: credeva di sfuggirci pensando di essere più furbo di noi o che le nostre gambe si stancassero prima delle sue! Magari pensava che io non esistessi, o che le mie gesta fossero state ingigantite dai racconti della gente.” E rivolgendosi a me “Ora sai qual è il tributo che paga chi attraversa il regno del Passator Cortese! Cosa c’è, ti credevi abbastanza forte e ora capisci che non ce la farai mai ad arrivare a Faenza? Ne ho visti troppi come te partire sentendosi padroni della strada, dei boschi, dei sentieri, per poi vederli cadere prostrati senza che io abbia dovuto alzare un solo braccio per colpirli.”

Mentre il Passatore dice queste parole io sento una nuova forza sgorgarmi direttamente dal cuore urlando: “Io non sono così, dovrai usare tutta la tua forza per fermarmi”. Ripenso a tanti momenti della mia vita: le grandi marce sotto il sole spagnolo di Leon andando verso Compostela, le discese in fila indiana lungo le rive del fiume Congo portando grossi sassi sulla testa per costruire la casa missionaria, le dune di sabbia del Sahara dove il miraggio si fa realtà. Mi metto su un ginocchio e mi alzo facendo qualche passo incerto, circondato dallo stupore di Mattiazza e Lisagna che mi avevano visto più morto che vivo fino ad un attimo prima. Alzo la fronte e per la prima volta i miei occhi si fissano su quelli del Pelloni sfidandolo. Sempre sostenendo il suo sguardo, gli dico: “Io non mi fermerò. La mia strada non finisce qui, ma continua verso Faenza e più oltre ancora. È questa la mia vita, il mio sogno. E il sogno si avvera di rado, ma la realtà non riuscirà mai a sopprimerlo.”

Non so perché ma si ferma alle mie parole, abbassa la bocca dello schioppo e mi osserva improvvisamente silenzioso. Lo guardo cercando di capire cosa sta succedendo. Perché non mi finisce?

Il Pelloni fissandomi mi dice: “Anche tu sei come me, lo sento. È la strada che ha scelto il tuo destino. Io nacqui per essere traghettatore, ma la strada mi ha voluto con sé e mi ha insegnato che c’è sempre un modo diverso di vivere. Vedo nel tuo sguardo che sei un viandante che disegna con il suo passo il mondo, sempre alla ricerca di orizzonti lontani, come se il tuo cuore non potesse avere pace se non vedendo un nuovo sentiero davanti ai tuoi piedi; ora alzati, non rinunciare mai al tuo orgoglio. Laggiù dove stanno sorgendo le prime luci dell’alba c’è il castello di Brisighella. Non fermarti più nemmeno una volta giunto a Faenza: segui i tuoi sogni, segui il tuo istinto. E ora và pellegrino e sii sempre libero come è, e sempre sarà, Stefano Pelloni, il Passator Cortese, re della strada, re della foresta.” E dette queste parole si allontana con i suoi uomini lanciando grida altissime. Mi sveglio di soprassalto: era solo un sogno allora. È il 25 maggio 2002 e sono disteso su un gradone della loggia della Signoria pronto per affrontare la 30a edizione della 100 km del Passatore. Vicino a me, con gli occhi socchiusi per riposare c’è mio zio Nicche. Gli chiedo: “Quanto manca alla partenza?”. Lui con la tranquillità dell’esperienza mi risponde “Un paio d’ore. Cerca di dormire ancora un poco. Questa notte avrai bisogno di tutte le tue energie per farcela.” Sento la mia voce dire “Zio, pensi che questa notte incontreremo il Passatore?” Il suo viso perplesso e l’ultima cosa che vedo prima di chiudere gli occhi e cadere addormentato.

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L' autore e' Leonardo Soresi, quest'anno finisher alla marathon des sables, ha gia' corso all'ile de la reunion e autore dell'articolo sul defi de l'oisans su correre del mese di ottobre o novembre (abbiamo passato 6 giorni insieme al defi ed e' proprio una gran persona!)
 

nota di Maurizio Scilla

 

 

 

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